Architetture in Acciaio n° 9
La rivista italiana dell’architettura e delle costruzioni in acciaio
In questo numero
Etiche dell'Acciaio
Alle volte, al di là dei Miti – nella materia, e quindi anche nel ferro e negli acciai – si incorporano, nel tempo, etiche, memorie, violenze e virtù, che più tardi, i nostri progetti portano alla luce e, in qualche modo, reinterpretano. Così, Miti antichi incontrano i nuovi Miti, quelli della modernità. Il ferro – fuso nella fucina di Efesto alla fiamma rubata agli Dei da Prometeo – è battuto dai magli medievali per forgiare spade, corazze, asce, cioè uomini di acciaio. Nel Settecento il ferro è presentato nelle bellissime “planches de l’Ecyclopédie” come trionfo della ragione illuminata. Verranno, poi, il convertitore Bessemer, i laminatoi,
gli acciai speciali, a segnare i caratteri della modernità. Nell’Ottocento il progresso scorre su rotaie d’acciaio che avviluppano il globo, scavalca in arcate “audacissime” fiumi e confini, innalza al cielo la Tour di Eiffel, si rispecchia nelle membrane trasparenti di Paxton e di Labrouste. Qui l’anima d’acciaio si spoglia (oh scandalo!) e si libera dalla carne di pietra e di mattone: il Sublime dei Romantici, Beaudelaire, Turner, i Futuristi, i Costruttivisti, ecc. La modernità ha un’anima di acciaio.Oggi, forse, quella tensione che i Miti ed il Sacro garantivano, sembra esser venuta meno, trasformata: lo sviluppo delle tecniche, l’utilitarismo, il numero, ne avrebbero, in qualche modo, decretato il tramonto.
Ma nuovi Miti ci guidano: quelli dei “brands”, della finanza, del successo; in questi noi ci specchiamo come nuovi Narcisi. Non più soltanto il vento, la gravità, la natura e le nostre matite, disegnano e danno forma agli acciai, ma sono gli elettroni dei computers che tracciano reti e reticoli, textures, secondo geometrie non più euclidee, realizzando stupendi ed improbabili equilibri statici. Tutto è possibile purché si traduca in emozione. Prometeo, liberato dalle catene, cioè scatenato, corre all’impazzata nei nostri paesaggi, sventolando i ferri che lo vincolavano alla roccia. L’unità del mondo è andata in mille luccicanti frammenti.
L’Arte, come l’Architettura, si è ormai emancipata dal suo strato più profondo. Scompare ogni riferimento ai contenuti specifici, ai luoghi, alla natura, alla storia, a ciò che non può essere solo oggetto egoistico di calcolo.
Nell’epoca dell’immagine lacerata occorre, credo, “malgré tout”, avere ancora il coraggio di proporre ed opporre, nuove sapienti immagini. I progetti che questo numero di Architetture in Acciaio presenta, danno, certamente, un forte contributo a ricerche sapienti ed innovative.
Anche un nostro (di Isolarchitetti) Drago si è insinuato tra queste pagine. Il suo corpo prosegue nascosto in un’immensa officina della Fiat Mirafiori. La coda affonda nel luogo e nella storia, raggiunge i robots e le catene di montaggio, le sue due teste si affacciano verso il futuro. Dentro le ali di acciaio specchiante giovani audaci designers tracciano, oggi, immagini di ciò che saremo.
Aimaro Isola, Isolarchitetti
Etiche dell'Acciaio
Alle volte, al di là dei Miti – nella materia, e quindi anche nel ferro e negli acciai – si incorporano, nel tempo, etiche, memorie, violenze e virtù, che più tardi, i nostri progetti portano alla luce e, in qualche modo, reinterpretano. Così, Miti antichi incontrano i nuovi Miti, quelli della modernità. Il ferro – fuso nella fucina di Efesto alla fiamma rubata agli Dei da Prometeo – è battuto dai magli medievali per forgiare spade, corazze, asce, cioè uomini di acciaio. Nel Settecento il ferro è presentato nelle bellissime “planches de l’Ecyclopédie” come trionfo della ragione illuminata. Verranno, poi, il convertitore Bessemer, i laminatoi,
gli acciai speciali, a segnare i caratteri della modernità. Nell’Ottocento il progresso scorre su rotaie d’acciaio che avviluppano il globo, scavalca in arcate “audacissime” fiumi e confini, innalza al cielo la Tour di Eiffel, si rispecchia nelle membrane trasparenti di Paxton e di Labrouste. Qui l’anima d’acciaio si spoglia (oh scandalo!) e si libera dalla carne di pietra e di mattone: il Sublime dei Romantici, Beaudelaire, Turner, i Futuristi, i Costruttivisti, ecc. La modernità ha un’anima di acciaio.Oggi, forse, quella tensione che i Miti ed il Sacro garantivano, sembra esser venuta meno, trasformata: lo sviluppo delle tecniche, l’utilitarismo, il numero, ne avrebbero, in qualche modo, decretato il tramonto.
Ma nuovi Miti ci guidano: quelli dei “brands”, della finanza, del successo; in questi noi ci specchiamo come nuovi Narcisi. Non più soltanto il vento, la gravità, la natura e le nostre matite, disegnano e danno forma agli acciai, ma sono gli elettroni dei computers che tracciano reti e reticoli, textures, secondo geometrie non più euclidee, realizzando stupendi ed improbabili equilibri statici. Tutto è possibile purché si traduca in emozione. Prometeo, liberato dalle catene, cioè scatenato, corre all’impazzata nei nostri paesaggi, sventolando i ferri che lo vincolavano alla roccia. L’unità del mondo è andata in mille luccicanti frammenti.
L’Arte, come l’Architettura, si è ormai emancipata dal suo strato più profondo. Scompare ogni riferimento ai contenuti specifici, ai luoghi, alla natura, alla storia, a ciò che non può essere solo oggetto egoistico di calcolo.
Nell’epoca dell’immagine lacerata occorre, credo, “malgré tout”, avere ancora il coraggio di proporre ed opporre, nuove sapienti immagini. I progetti che questo numero di Architetture in Acciaio presenta, danno, certamente, un forte contributo a ricerche sapienti ed innovative.
Anche un nostro (di Isolarchitetti) Drago si è insinuato tra queste pagine. Il suo corpo prosegue nascosto in un’immensa officina della Fiat Mirafiori. La coda affonda nel luogo e nella storia, raggiunge i robots e le catene di montaggio, le sue due teste si affacciano verso il futuro. Dentro le ali di acciaio specchiante giovani audaci designers tracciano, oggi, immagini di ciò che saremo.
Aimaro Isola, Isolarchitetti
Alle volte, al di là dei Miti – nella materia, e quindi anche nel ferro e negli acciai – si incorporano, nel tempo, etiche, memorie, violenze e virtù, che più tardi, i nostri progetti portano alla luce e, in qualche modo, reinterpretano. Così, Miti antichi incontrano i nuovi Miti, quelli della modernità. Il ferro – fuso nella fucina di Efesto alla fiamma rubata agli Dei da Prometeo – è battuto dai magli medievali per forgiare spade, corazze, asce, cioè uomini di acciaio. Nel Settecento il ferro è presentato nelle bellissime “planches de l’Ecyclopédie” come trionfo della ragione illuminata. Verranno, poi, il convertitore Bessemer, i laminatoi,
gli acciai speciali, a segnare i caratteri della modernità. Nell’Ottocento il progresso scorre su rotaie d’acciaio che avviluppano il globo, scavalca in arcate “audacissime” fiumi e confini, innalza al cielo la Tour di Eiffel, si rispecchia nelle membrane trasparenti di Paxton e di Labrouste. Qui l’anima d’acciaio si spoglia (oh scandalo!) e si libera dalla carne di pietra e di mattone: il Sublime dei Romantici, Beaudelaire, Turner, i Futuristi, i Costruttivisti, ecc. La modernità ha un’anima di acciaio.Oggi, forse, quella tensione che i Miti ed il Sacro garantivano, sembra esser venuta meno, trasformata: lo sviluppo delle tecniche, l’utilitarismo, il numero, ne avrebbero, in qualche modo, decretato il tramonto.
Ma nuovi Miti ci guidano: quelli dei “brands”, della finanza, del successo; in questi noi ci specchiamo come nuovi Narcisi. Non più soltanto il vento, la gravità, la natura e le nostre matite, disegnano e danno forma agli acciai, ma sono gli elettroni dei computers che tracciano reti e reticoli, textures, secondo geometrie non più euclidee, realizzando stupendi ed improbabili equilibri statici. Tutto è possibile purché si traduca in emozione. Prometeo, liberato dalle catene, cioè scatenato, corre all’impazzata nei nostri paesaggi, sventolando i ferri che lo vincolavano alla roccia. L’unità del mondo è andata in mille luccicanti frammenti.
L’Arte, come l’Architettura, si è ormai emancipata dal suo strato più profondo. Scompare ogni riferimento ai contenuti specifici, ai luoghi, alla natura, alla storia, a ciò che non può essere solo oggetto egoistico di calcolo.
Nell’epoca dell’immagine lacerata occorre, credo, “malgré tout”, avere ancora il coraggio di proporre ed opporre, nuove sapienti immagini. I progetti che questo numero di Architetture in Acciaio presenta, danno, certamente, un forte contributo a ricerche sapienti ed innovative.
Anche un nostro (di Isolarchitetti) Drago si è insinuato tra queste pagine. Il suo corpo prosegue nascosto in un’immensa officina della Fiat Mirafiori. La coda affonda nel luogo e nella storia, raggiunge i robots e le catene di montaggio, le sue due teste si affacciano verso il futuro. Dentro le ali di acciaio specchiante giovani audaci designers tracciano, oggi, immagini di ciò che saremo.
Aimaro Isola, Isolarchitetti