Architetture in Acciaio n° 4
La rivista italiana dell’architettura e delle costruzioni in acciaio
In questo numero
Amiamo la materia
Amiamo la materia, quella sincera, quella che reagisce al tempo e ai luoghi.
Crediamo che la materia abbia un suo diritto di essere e di riaffermare una propria identità.
Ogni progetto è fatto di scelte e ogni scelta deve portare ragione e sentimento, logica e poesia, deve parlare con il “corpo” dell’edificio. Le scelte devono poter avvenire in maniera contestuale con l’elaborazione delle idee.
Devono formarle e contrastarle per renderle più forti, più chiare, devono riuscire a divenire strategiche ed essenziali, portatrici di un nuovo possibile mondo.
Non crediamo alla stratificazione di ragionamenti che spesso tendono a rivelare debolezze e artifici. Crediamo alla sintesi univoca, alla coerenza tra struttura e forma, che per noi significa sequenza spaziale. È stato così per secoli, perché non può esserlo ancora? È in quei luoghi, in quegli spazi che proviamo attrazione e piacere, che scopriamo il significato della bellezza.
Per nostra natura e cultura riteniamo che il cemento appartenga a una idea di Mediterraneo e di “sud”, ad una ricerca di sensualità più che ad una volontà “nervosa” di apparire. Siamo molto più vicini a concepire materia e struttura come declinazione fondativa del progetto di architettura.
Se la cucina la si potesse sintetizzare attraverso la differenza, per noi italiani, di due “culture-nature”, separate dalla linea montuosa dell’Appennino, ovvero quella dell’olio e quella del burro, occorre comprendere che vi sono due approcci (culture-nature) fondamentalmente diversi nel relazionarsi all’acciaio: quella artificiosa e eccessivamente espressiva, e quella più attenta che definisce le differenze tra le identità, le specificità dell’uso, la bellezza del racconto.
L’acciaio ha questo valore per noi, spesso determinato maggiormente nell’incontro con le altre materie, spesso per determinarsi come sistema che cerca di liberarsi nello spazio più che occuparlo. L’acciaio ci piace scoprirlo e non renderlo evidente, ci piace ritrovarlo, riscoprirlo.
Esso appartiene a una diversa idea di intimità dello spazio, meno segreta. Ciò per cui il cemento ci porta immediatamente a legarci alla terra, trova il suo opposto nella volontà dell’acciaio di liberarsi nell’aria.
Amiamo la dimensione potente, gioiosa e giocosa dell’Ottocento e dei primi del Novecento, dove l’acciaio riusciva ad esprimersi e a declinarsi nei vari luoghi secondo questa sua natura varia e narrativa. Non dobbiamo nasconderlo se lo usiamo, non dobbiamo renderlo servo se lo rispettiamo.
Amiamolo per la sua natura, liberiamolo da altre nature, e allora l’acciaio tornerà a dialogare con l’altra materia.
Terra e cielo saranno nuovamente riconquistate. Oggi esiste un acciaio che si è fatto cemento e un cemento che si nutre completamente di acciaio. Amiamo la materia. Restituiamo il diritto alla materia.
Alfonso Femia, Gianluca Peluffo, 5+1AA
Amiamo la materia
Amiamo la materia, quella sincera, quella che reagisce al tempo e ai luoghi.
Crediamo che la materia abbia un suo diritto di essere e di riaffermare una propria identità.
Ogni progetto è fatto di scelte e ogni scelta deve portare ragione e sentimento, logica e poesia, deve parlare con il “corpo” dell’edificio. Le scelte devono poter avvenire in maniera contestuale con l’elaborazione delle idee.
Devono formarle e contrastarle per renderle più forti, più chiare, devono riuscire a divenire strategiche ed essenziali, portatrici di un nuovo possibile mondo.
Non crediamo alla stratificazione di ragionamenti che spesso tendono a rivelare debolezze e artifici. Crediamo alla sintesi univoca, alla coerenza tra struttura e forma, che per noi significa sequenza spaziale. È stato così per secoli, perché non può esserlo ancora? È in quei luoghi, in quegli spazi che proviamo attrazione e piacere, che scopriamo il significato della bellezza.
Per nostra natura e cultura riteniamo che il cemento appartenga a una idea di Mediterraneo e di “sud”, ad una ricerca di sensualità più che ad una volontà “nervosa” di apparire. Siamo molto più vicini a concepire materia e struttura come declinazione fondativa del progetto di architettura.
Se la cucina la si potesse sintetizzare attraverso la differenza, per noi italiani, di due “culture-nature”, separate dalla linea montuosa dell’Appennino, ovvero quella dell’olio e quella del burro, occorre comprendere che vi sono due approcci (culture-nature) fondamentalmente diversi nel relazionarsi all’acciaio: quella artificiosa e eccessivamente espressiva, e quella più attenta che definisce le differenze tra le identità, le specificità dell’uso, la bellezza del racconto.
L’acciaio ha questo valore per noi, spesso determinato maggiormente nell’incontro con le altre materie, spesso per determinarsi come sistema che cerca di liberarsi nello spazio più che occuparlo. L’acciaio ci piace scoprirlo e non renderlo evidente, ci piace ritrovarlo, riscoprirlo.
Esso appartiene a una diversa idea di intimità dello spazio, meno segreta. Ciò per cui il cemento ci porta immediatamente a legarci alla terra, trova il suo opposto nella volontà dell’acciaio di liberarsi nell’aria.
Amiamo la dimensione potente, gioiosa e giocosa dell’Ottocento e dei primi del Novecento, dove l’acciaio riusciva ad esprimersi e a declinarsi nei vari luoghi secondo questa sua natura varia e narrativa. Non dobbiamo nasconderlo se lo usiamo, non dobbiamo renderlo servo se lo rispettiamo.
Amiamolo per la sua natura, liberiamolo da altre nature, e allora l’acciaio tornerà a dialogare con l’altra materia.
Terra e cielo saranno nuovamente riconquistate. Oggi esiste un acciaio che si è fatto cemento e un cemento che si nutre completamente di acciaio. Amiamo la materia. Restituiamo il diritto alla materia.
Alfonso Femia, Gianluca Peluffo, 5+1AA
Amiamo la materia, quella sincera, quella che reagisce al tempo e ai luoghi.
Crediamo che la materia abbia un suo diritto di essere e di riaffermare una propria identità.
Ogni progetto è fatto di scelte e ogni scelta deve portare ragione e sentimento, logica e poesia, deve parlare con il “corpo” dell’edificio. Le scelte devono poter avvenire in maniera contestuale con l’elaborazione delle idee.
Devono formarle e contrastarle per renderle più forti, più chiare, devono riuscire a divenire strategiche ed essenziali, portatrici di un nuovo possibile mondo.
Non crediamo alla stratificazione di ragionamenti che spesso tendono a rivelare debolezze e artifici. Crediamo alla sintesi univoca, alla coerenza tra struttura e forma, che per noi significa sequenza spaziale. È stato così per secoli, perché non può esserlo ancora? È in quei luoghi, in quegli spazi che proviamo attrazione e piacere, che scopriamo il significato della bellezza.
Per nostra natura e cultura riteniamo che il cemento appartenga a una idea di Mediterraneo e di “sud”, ad una ricerca di sensualità più che ad una volontà “nervosa” di apparire. Siamo molto più vicini a concepire materia e struttura come declinazione fondativa del progetto di architettura.
Se la cucina la si potesse sintetizzare attraverso la differenza, per noi italiani, di due “culture-nature”, separate dalla linea montuosa dell’Appennino, ovvero quella dell’olio e quella del burro, occorre comprendere che vi sono due approcci (culture-nature) fondamentalmente diversi nel relazionarsi all’acciaio: quella artificiosa e eccessivamente espressiva, e quella più attenta che definisce le differenze tra le identità, le specificità dell’uso, la bellezza del racconto.
L’acciaio ha questo valore per noi, spesso determinato maggiormente nell’incontro con le altre materie, spesso per determinarsi come sistema che cerca di liberarsi nello spazio più che occuparlo. L’acciaio ci piace scoprirlo e non renderlo evidente, ci piace ritrovarlo, riscoprirlo.
Esso appartiene a una diversa idea di intimità dello spazio, meno segreta. Ciò per cui il cemento ci porta immediatamente a legarci alla terra, trova il suo opposto nella volontà dell’acciaio di liberarsi nell’aria.
Amiamo la dimensione potente, gioiosa e giocosa dell’Ottocento e dei primi del Novecento, dove l’acciaio riusciva ad esprimersi e a declinarsi nei vari luoghi secondo questa sua natura varia e narrativa. Non dobbiamo nasconderlo se lo usiamo, non dobbiamo renderlo servo se lo rispettiamo.
Amiamolo per la sua natura, liberiamolo da altre nature, e allora l’acciaio tornerà a dialogare con l’altra materia.
Terra e cielo saranno nuovamente riconquistate. Oggi esiste un acciaio che si è fatto cemento e un cemento che si nutre completamente di acciaio. Amiamo la materia. Restituiamo il diritto alla materia.
Alfonso Femia, Gianluca Peluffo, 5+1AA